Orfeo Zanforlin Allenatore Calcio

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domenica 17 dicembre 2017

Diventare calciatore, il sogno di (quasi) tutti i bambini. Ma quanto costa a mamma e papà?

È passato un mese, ma lo schock per la nazionale di calcio esclusa dai Mondiali 2018 in Russia continua a bruciare. Un intero paese di tifosi è ancora incredulo. Inutile nascondersi, in Italia il calcio è un fondamento culturale.

Per l’opinione pubblica calciofila due le principali cause della disfatta: l’ex ct Gian Piero Ventura e la mancanza di giocatori di (grandissimo) talento. Ed è soprattutto su quest’ultimo aspetto che addetti ai lavori ed esperti hanno sguinzagliato il cavallo di battaglia “ripartiamo dalle giovanili“.  Tutto giusto, per carità, ma in tempi di ristrettezze economiche, in pochi si chiedono quanto effettivamente pesi sulle tasche di una famiglia italiana iscrivere il proprio figlioletto ad una scuola o squadra di calcio, soprattutto nei vivai di società professionistiche come Milan, Inter o Juventus dove dovrebbero crescere i Baggio, i Maldini e i Del Piero di domani. Proprio quei grandi nomi che, oggi, latitano nel calcio nostrano.

Partiamo da un importante distinguo: vivai del mondo dilettantistico e del mondo professionistico. Due universi complementari, ma al tempo stesso distinti nella loro evoluzione.

In entrambi i casi i genitori sono infatti chiamati a sborsare una cifra che nella maggior parte dei casi si aggira attorno ai 250/600 euro all’anno per iscrizione e kit di abbigliamento/allenamento. Nel caso del mondo professionistico, però, questa quota va solitamente a scomparire una volta che il piccolo calciatore arriva all’ultimo anno dei giovanissimi (13 anni), dove alcuni, addirittura, sono già seguiti da un agente. Nei dilettanti, nella maggior parte dei casi, invece, il kit si paga fino agli allievi (15-16 anni di età).

Ipotizzando inoltre di “foraggiare” l’intero percorso giovanile del figlio, dai primi calci (6 anni) fino ai 18 anni di età (Juniores/Primavera), l’investimento per mamma e papà può toccare i 3 mila euro e raggiungere gli oltre 6 mila euro nel caso delle società dilettantistiche.

Per quanto riguarda le spese di viaggio, nel caso dei piccoli che abitano lontano dal campo di allenamento, le società professionistiche (in taluni casi anche dilettantistiche) offrono un servizio bus compreso nella quota di iscrizione.

250/600 euro all’anno, una cifra non particolarmente significativa per buona parte delle famiglie italiane, ma che per genitori con problemi economici potrebbe rappresentare uno scoglio. Fortunatamente ci sono dei casi , come la Dote Sport di Regione Lombardia (rimborso da 50 a 200 euro per attività sportiva dei figli minori) o Dote inMovimento di Assosport, Regione Veneto e CONI che possono dare una mano ad ammortizzare questa spesa. Ma ovviamente non basta. Ci vorrebbero altri tipi di agevolazioni e contributi strutturati su tutto il Paese, che diano una mano alle famiglie meno abbienti (in base al reddito ISEEE) e al contempo ossigeno alle scuole calcio e settori giovanili, di tutti i livelli s’intende.

Per il genitore il kit non rappresenta l’unica spesa da affrontare.


“Oggi, per fortuna, – spiega Orfeo Zanforlin, istruttore di Udinese Academy e volto noto del talk show Qui Studio a Voi Stadio di Telelombardia – i genitori seguono spesso i loro figli sia negli allenamenti che nella partita del sabato o della domenica. Ed è anche questo aspetto ad incidere sul bilancio familiare. Settimanalmente questi genitori hanno un’uscita fissa che si traduce in varie voci di spesa: carburante auto, biglietto per l’entrata della partita, che va dai 3 ai 5 euro, e varie ed eventuali come può essere il pranzo fuori casa per le trasferte più lontane. Questo durante il campionato – prosegue Zanforlin –, mentre in estate l’impegno potrebbe essere ancora più gravoso, con i tantissimi tornei organizzati dalle varie società”.



Ovviamente più alto è il livello della società, più saranno i chilometri da percorrere (e quindi i costi) per star vicini al figlio che coltiva il sogno di diventare calciatore. Se, ad esempio, il figlioletto gioca negli esordienti nazionali il genitore che vuole seguirlo si troverà a percorrere in lungo e in largo quasi tutta la penisola. Un costo che va calcolato e pesa sicuramente sull’economia di una famiglia non particolarmente benestante.

    Uno su 5 mila ce la fa…

Uno sforzo in termini di tempo ed economico che i genitori potrebbero però trovarsi “ripagato” solo al compimento dei 18 anni del figlio, perché è solo al raggiungimento della maggiore età che la società professionistica è obbligata a riconoscere al ragazzo un minimo contrattuale.

 
Ovviamente dando per scontato che il figlio riesca, nel frattempo, a restare nel vivaio della società professionistica percorrendo di anno in anno tutte le categorie, fino a raggiungere la primavera, l’ultimo step prima del tanto agognato salto nei professionisti. Una strada che non è assolutamente facile. Per dare un’idea della fortissima cernita, in Italia ci sono circa 7 mila scuole calcio (quasi quante le scuole medie, che sono 8 mila) per un totale di 300 mila piccolissimi calciatori in erba. Di questi solo uno su 4-5 mila riesce ad esordire in serie A. Circa 60/80 su 300 mila. Un trend tra l’altro in calo negli ultimi anni.

Altra spesa – decisamente opzionale, va sottolineato – sono i campus estivi. Se è vero che nelle più importanti realtà del mondo dilettantistico questi eventi hanno un costo che si aggira attorno ai 150/200 euro a settimana, nel caso di realtà professionistiche di serie A il campus può arrivare a costare anche 500 euro a settimana. Più un’occasione di svago che una soluzione propedeutica all’accesso alle giovanili di team blasonati, poiché a questi campus possono accedere tutti  e non c’è una vera selezione. Selezione che viene invece fatta attraverso lo scouting, serratissimi di questi tempi, come sottolinea Zanforlin.

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E i provini hanno un costo?

“I provini come esistevano una volta – ci spiega Zanforlin – non ci sono più. Le selezioni si fanno nelle società gemellate o affiliate (a titolo gratuito ndr), perché tutte le società professionistiche hanno già contatti diretti con le realtà dilettantistiche. Si fa tanto scouting, anche troppo. A quella età non si può sapere se poi saranno bravi a 18 anni. Dobbiamo prima lasciarli giocare sui campi di provincia, ma con allenatori competenti”.

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